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Nair, caverne[]

"La situazione è grave...ve ne sarete resi conto..." Il Re Fabbro Dantilius era a riunione con i tre saggi e i capitani delle varie unità militari.

"Da quanto avete riferito nei vostri rapporti, le mura esterne, intorno al Portone Principale, sono state distrutte; abbiamo ripiegato all'interno del Salone di Pietra e sigillato il portone. Ma per quanto resisterà?"

Uno dei capitani rispose prontamente "Stanno cercando di abbatterlo, devono avere un ariete...sono organizzati quei maledetti !! Per ora regge...ma non penso durerà molto..." pallido in viso, era distante l'ultima notte in cui aveva dormito. Il Re continuò con il resoconto "Le miniere sono un colabrodo, nonostante le barricate e il lavoro costante per chiudere i passaggi, riescono sempre ad arrivare quei topi di fogna..." guardando un altro dei capitani.

Il nano confermò con un cenno del capo "Per il momento resistiamo ma sembrano infiniti...e molti di noi cadono...siamo in rapporto 1 contro 20 mio Re...".

"La porta verso la Via di Pietra è bloccata...di conseguenza non riceviamo notizie da Dorwelg da troppi giorni...sono tornati gli esploratori?"

Un nano vestito leggero e coperto quasi interamente con un mantello, rispose "Non sono tornati...si spera che siano almeno riusciti a raggiungere Dorwelg sani e salvi".

"Il quartiere in rovina è stato sigillato...non voglio neanche immaginare cosa potrebbe uscire da lì...".

Ci fu un momento di silenzio dove tutti erano curvi ad osservare una pianta della città sotterranea.

Poi il Re alzò il capo e chiese "Come stiamo messi con viveri e, soprattutto con la birra?".

Da un angolo si alzò un rubicondo e grasso nano, con una parannanza sporca sulla pancia "Mio Re...oramai siamo agli sgoccioli...qualche sacco di grano, alcune casse di carne secca e...la birra...quattro botti di birra di malto e due botti della Riserva Speciale...è finito tutto...non resisteremo più di settimana forse, razionando, qualche giorno in piu...". Dantilius si prese qualche minuto per riflettere e poi disse "C'e' rimasta l'ultima carta da giocare...dopo di che, mi secca dirlo, ma è finita. Vorrei lasciare la parola a Farth Trizzledorf, capomastro ingegnere " e indicò la stanza comunicante a quella in cui si svolgeva la riunione; la porta era aperta e dentro si poteva vedere uno gnomo, curvo su una scrivania, tutto indaffarato a scrivere su dei fogli, leggerne altri, scartabellare su libri, fare conti su un pallottoliere e altro; non si era accorto che stavano parlando di lui.

"Mastro Trizzledorf ?! MASTRO TRIZZLEDORF ???" gridò il Re.

"Eh ? Uh ! Si? Eccomi eccomi..." lo gnomo smontò dallo sgabello e si diresse fuori dalla stanza, verso il gruppo, con alcune pergamene sotto il braccio, un righello nella tasca e una matita sull'orecchio sinistro.

"Dica a tutti la sua idea" concluse il Re, accomodandosi su una sedia e lasciando la parola allo gnomo.

"Allora...ehm...cough -si schiarì la voce- l'idea è semplice, se in questi punti..." prese a segnare con la matita delle croci sulla pianta della città "...piazzassimo delle cariche di esplosivo...se le mettessimo qui, qui e qui; se le facessimo esplodere in una sequenza prestabilita, potremmo rapidamente e definitivamente sigillare la maggior parte delle vie da cui i goblin accedono a Nair...e se ho fatto bene i conti, potremmo far cadere sulla testa di migliaia di loro, una grande quantità di roccia. Sarà pericoloso, sarà rischioso, ma se i miei calcoli sono giusti, potrebbe essere una svolta!!!"

Il gruppo prese a borbottare rumorosamente "E' pericoloso per Nair!!", "Potrebbe funzionare!", "Siamo impazziti???", "Ma come potremmo..."…

Il Re azzittì tutti, dicendo a brutto muso "La situazione la sappiamo tutti, il tempo non c'e', qualcuno ha un'idea migliore ???"

Silenzio.

"Di cosa avete bisogno mastro ingegnere?" chiese Dantilius allo gnomo.

Lo gnomo srotolò una pergamena e la porse al Re, che la lesse e poi si rivolse ai nani "Prendete queste pergamene e fate in modo di rimediare questo materiale in fretta!! Il materiale dovrebbe essere tutto reperibile a Nair. VI DO' 24 ORE DI TEMPO NON UNA DI PIU."

Lo gnomo distribuì le pergamene con l'elenco ai nani, questi si diviserò i compiti e uscirono di fretta.

Il giorno dopo, come da ordini del Re, il materiale era stato rimediato: lo zolfo era stato preso nei pressi del fiume di lava nel quartiere abbandonato; farsi strada tra goblin e altre strane creature topiformi era stata dura, le perdite alte ma l'obiettivo era stato raggiunto.

Il carbone era stato reperito facilmente, visto che normalmente era usato per le fornaci delle forge. Il salnitro, secondo le indicazioni degli gnomi, era stato preso nel laghetto del Salone di Pietra. L'acqua di Fuoco nanica, per miscelare il tutto, con gran fatica e grande tristezza, era stata portata via direttamente dalla cantina privata dell'oste riluttante. I contenitori cilindrici erano stati costruiti in metallo leggero, forgiati apposta per quell'occasione, dai chierici di Trerar, che li avevano decorati con rune propiziatorie.

Un'equipe di ingegneri gnomi si fece carico di studiare la lunghezza delle micce, in base al tempo necessario per far esplodere i pacchetti e preparò il composto esplosivo, miscelando le giuste dosi.

Alla fine del secondo giorno, era tutto pronto per la ‘consegna’ dei pacchetti.

Il primo posto che venne minato fu il Salone di Pietra, così da impedire agli invasori di entrare dal portone principale. Mossa importante strategicamente per impedire di essere presi da due fronti: dall'ingresso principale e dalla parte bassa. Il timore di rimanere chiusi dentro non sfiorò la mente dei nani; sicuramente una squadra di esperti minatori avrebbe liberato il Salone dalle macerie in breve tempo, quando fosse stato possibile.

Venne poi minato il quartiere abbandonato. Per adempiere a questo compito, furono scelti dei volontari, perchè quella missione era senza ritorno. Il passaggio per la raccolta dello zolfo, in quelle caverne, aveva radunato diverse creature del sottosuolo in cerca di cibo, oltre ai goblin invasori, che, prima, avevano evitato quel posto, essendo poco frequentato dai nani.

Andarono due gnomi, che avrebbero piazzato l'esplosivo e sistemato le micce, e quattro nani, che si dovevano occupare di difendere il gruppo a lavoro. Furono scelti i più anziani tra coloro che si proposero volontari, decisi a non far rischiare la vita alle nuove generazioni.

Due guardie si piazzarono dietro la porta che sbarrava l'accesso al quartiere abbandonato, nella speranza che riuscissero a fare ritorno; il gruppo porse l'estremo saluto alle rispettive famiglie, entrò e si chiuse la porta alle spalle. Le ultime cariche furono piazzate nelle condotti che portavano alle miniere, cosi da sigillare gli unici accessi verso quella zona che, essendo la più traforata, era la più difficile e impegnativa da controllare. Solo la via verso Dorwelg non fu fatta crollare. Il rischio di tenere quella porta aperta decisero di assumerlo, per non precludere l'unica via di collegamento verso i loro fratelli dell'altra città. Non li avrebbero abbandonati, goblin o non goblin. Alla fine del terzo giorno, tutto era pronto per concludere questa avventura.

Il Re allora si piazzò in mezzo al Salone delle Cento Colonne, esattamente al centro di Nair. I chierici di Trerar gli consegnarono l'antico Corno da battaglia di Trerar, ricavato da un dente di drago, al tempo dei Primi.

Il mastro ingegnere gnomo controllò sulla sua clessidra e diede il segno; il Re suonò con tutto il fiato che aveva in corpo. Un suono basso, come un ruggito soffocato, lento e cupo, risuonò per tutta Nair, annullando ogni altro tipo di rumore. Pochi erano i nani in vita in quel momento, che potevano affermare di aver udito, prima di quel momento, il suono del sacro Corno di Trerar, usato solo in occasioni gravi e solo se strettamente necessario. Dagli occhi di questi nani, i più anziani di Nair, nel momento in cui si udì il suono, scese una lacrima.

Una lacrima in onore ai fratelli morti in battaglia in questa guerra e in quelle del passato; una lacrima per quel corno, suonato solo durante le più gravi e dolorose battaglie della storia dei nani. Gli altri nani furono percorsi da un brivido lungo la schiena, che gli conferì un timore reverenziale ma anche una carica mai sentita prima; si trovarono ad esultare all'unisono con il corno, senza neanche rendersene conto.

Le micce furono accese e l'odore di bruciato si espanse nell'aria.

"Spero che il suono del Sacro Corno sia arrivato anche alle orecchie degli eroi nel Quartiere Abbandonato" furono le ultime tristi parole che pronunciò il Re prima del fragore delle esplosioni.

Le guardie alla porta del Quartiere Abbandonato confermarono che anche da lì dietro si sono udite le esplosioni...ovviamente nessuno era riuscito ad uscire; la missione era stata portata a termine, a qualunque costo.

A lungo rimasero in ascolto di rumori provenienti dalle zone calde. Non si udì il rintocco dell'ariete fuori dall'entrata di Nair, non si udirono i viscidi rumori dal quartiere abbandonato, le grida dalle miniere erano cessate.

Il piano sembrava funzionare. Sicuramente quel trambusto, anche se non avesse bloccato definitivamente gli invasori, avrebbe dato il tempo ai nani di Nair di focalizzare gli sforzi nel liberare la Via di Pietra e raggiungere i fratelli di Dorwelg, riunirsi e far fronte comune.

Ci fu un solenne rito funebre, in onore dei caduti nel quartiere abbandonato, nel tempio di Trerar e una lapide, con incisi i loro nomi, venne posta nella Cripta degli Eroi.

Il Re giurò che, appena la situazione si fosse tranquillizzata, avrebbe organizzato una spedizione per recuperare quel che restava delle spoglie degli eroi e dargli degna sepoltura.

"Ora si deve avanzare verso Dorwelg, ad ogni costo. Che Trerar ci assista!! ONORE AI NANI" proclamò il Re Fabbro.


Fuga in nave[]

La città di Dorwelg normalmente era collegata alla città-stato Nair tramite la Via di Pietra e, come tutto il regno nanico sottostava al comando del Re Fabbro Dantilius.

Quando i nani di Dorwelg si trovarono soli, tagliati fuori da Nair a causa delle orde di goblin e orchi che avevano invaso la Via decisero di non perdersi d'animo e di non stare ad aspettare, senza far niente, l'arrivo dei rinforzi da Nair. Il comandante del contingente di guerrieri stanziato in città, Ughrim Ironhead, insieme al più alto chierico di Trerar presente al tempio, Dorogh Berth, vennero nominati Sovrintendenti Straordinari e si misero subito ad organizzare le difese militari e l’assistenza agli abitanti.

Nonostante il numero esiguo dei combattenti presenti, dotati pero di notevole esperienza, sembrava che le porte della città riuscissero a reggere l’assedio. Ma il numero sempre crescente dell’orda verde mise a dura prova la resistenza di quei pochi valorosi guerrieri, e nonostante i loro innumerevoli sforzi, la città sarebbe presto stata invasa. Ormai era solo questione di tempo. Per questo motivo furono inviati degli esploratori lungo la via di pietra nella speranza che riuscissero a raggiungere Nair e chiedere rinforzi.

Purtroppo gli esploratori non riuscirono a raggiungere Nair. Due di loro tornarono molto presto con un esploratore di un’altra città ferito gravemente.

Tornati a Dorwelg, l'esploratore comunicò che Nair era sotto assedio da più fronti, le vie d'uscita erano precluse e le scorte alimentari stavano finendo; la situazione era disperata tanto quanto a Dorwelg.

Altre spedizioni di guerrieri furono inviate nella Via di Pietra per tentare di liberarla e raggiungere Nair, ma sempre senza successo. Il numero degli assalitori li costringeva sempre a ripiegare indietro verso Dorwelg.

Pochi giorni dopo accadde un evento che portò i due sovrintendenti a prendere una decisione anomala per la cultura e i modi di fare dei nani. Le sentinelle, che pattugliavano il portone sulla Via di Pietra, riferirono di aver udito, nel profondo delle caverne fuori dalla città, delle forti esplosioni, e di aver visto nubi di polvere e detriti muoversi verso la città. I sovrintendenti, reputando che Nair fosse caduta, che l'orda verde avesse trovato il modo di usare esplosivi per seppellire i loro fratelli, decisero di far uscire un gruppo verso il porto sopra Dorwelg, unica attuale via d'uscita, e di imbarcarsi verso la Repubblica, in cerca di aiuto. Speravano che i loro fratelli sull'isola riuscissero a convincere il Senato ad inviare delle unità in assistenza, in nome della loro vecchia alleanza.

I preparativi furono ultimati in una giornata e tre navi presero il largo, dirigendosi verso sud.

L'ultima speranza dei nani era riposta in quelle tre navi e nel loro equipaggio.

Appena le imbarcazioni superarono il promontorio di OldStone, altre navi uscirono da alcune grotte che si aprivano sul mare. La classica e ben conosciuta bandiera nera con teschio bianco sventolava sul loro albero più alto.

Le vedette delle navi dei nani le segnalarono e subito furono spiegate tutte le vele. Le navi balzarono veloci in avanti, spinte dal vento, rischiando di rovesciarsi, ma l'abilità dei comandanti le tennero in rotta.

I pirati però avevano dalla loro l'esperienza di innumerevoli battaglie in mare aperto e le loro navi, abituate alle rapide incursioni e razzie, erano superiori in agilità a qualunque nave.

Nel giro di poche miglia affiancarono e circondarono le navi naniche. Presto furono calate le passerelle e lanciati i rampini. L'arrembaggio avvenne di conseguenza. I nani, determinati e pronti a tutto pur di arrivare salvi al porto di Fiera, ressero con tutta la loro abilità di guerrieri a quell'attacco, ma capitolarono quando, nello stupore generale, dalle stive delle navi di Oldstone, uscirono strani esseri dalla pelle verde e squamosa, armati di spade ricurve e scudi e protetti da scure armature. Ancora una volta fu il numero schiacciante a sopraffare i nani.

Due navi vennero depredate ed affondate dagli Yuan-Ti; una terza riuscì a liberarsi dall'aggancio e sfuggì con un'abile manovra dirigendosi a tutta velocità verso le coste della Repubblica.

I pirati, decisi a non lasciarsi sfuggire l'ultima preda, si lanciarono ancora una volta all'inseguimento.


Attacco agli Elfi[]

“Figlio mio!” gridò Ukae stringendo i pugni. “E’ giunto il momento della nostra rivincita”.

Kalae fissò suo padre, con il corpo rigido e lo sguardo fermo. Ukae gesticolava e si muoveva avanti indietro per la sala del trono, senza mai incrociare gli occhi del figlio.

“Come ci muoveremo, padre?” Ukae si portò accanto al figlio e gli afferrò la testa.

“Con la forza!”, disse “Un potere che si estenderà su tutta Ero. E noi, figli di Adun, unici degni di possedere la sua protezione, lotteremo e vinceremo!” Lasciò la testa del figlio e scoppiò in una risata isterica che rimbombò per tutta la sala. Poi tornò a gesticolare e a borbottare frasi incomprensibili. Kalae perplesso passò lo sguardo dal padre a Lionel Tremar, Artiglio del Re nonché suo Primo Consigliere.

“Avremo due Eserciti” spiegò quest’ultimo facendo un passo avanti. ”Uno marcerà verso Eldarin passando attraverso il bosco di Jil’Rai. Un altro assedierà Anfar dando manforte ai barbari del Sud”.

“Barbari del Sud ?” domandò Kalae perplesso.

“Si, mio Principe. Questo è quanto detto e deciso da vostro padre su consigli…” non riuscì a terminare la frase che Ukae si intromise fra i due.

“Un sogno, Kalae…” disse fissandolo con occhi colmi di folle determinazione “…un sogno che si ripete ogni notte! Io e te sul balcone del palazzo reale di Eldarin, a bere il sangue di quegli orecchi a punta, circondati da rozze e barbare figure che ci venerano come degli Dei”.

Niente e nessuno sarebbe riuscito a fermare la decisione di Ukae; per quanto potessero sembrare folli le sue parole e le sue idea era lui a decidere ed a comandare.

Kalae annuì con il capo a Tremar poi si allontanò dalla sala. Presto avrebbe affrontato la sua prima guerra.


I barbari attaccano Anfar[]

All'inizio furono delle piccole sortite di goblin che provavano a dar fuoco ad arbusti secchi e cespugli, piccole sortite ricacciate prontamente indietro dalle sentinelle elfiche, abituate a quel tipo di attacchi.

Le sortite si trasformarono in piccole invasioni di gruppi più grandi, organizzati e comandati da orchi. Le sole sentinelle non riuscivano più a resistere e un contingente fu inviato a loro supporto.

Poi alcuni goblin cominciarono a spuntare dal sottosuolo, dalle tane di animali, dalle miniere, dai mausolei e anche l'intero contingente trovò difficoltà a resistere a questo attacco sferrato da fronti opposti.

Gli elfi riuscirono a resistere ancora, ma la loro volontà venne meno quando l'intera foresta risuonò delle grida e canzoni di guerra provenienti da sud.

E l'orda calò!

Impetuosa, folle, inarrestabile si abbattè su Anfar prendendola da più punti.

Centinaia di guerrieri umani, vestiti solo di pelli di animali, invasati, con la follia negli occhi, si abbatterono sulle difese elfiche. E dove non arrivavano gli umani, attaccavano maree di goblin capitanate da giganteschi orchi.

E Yben rise soddisfatto.

Fu solo grazie alle truppe di esperti arcieri, arrivate da Eldarin, che le parti furono a lungo in equilibro.

La massa arrivava allo scontro a corpo a corpo già decimata dalle piogge di frecce elfiche; solo la follia negli occhi e la rabbia in corpo li manteneva in piedi, in carica verso gli elfi, nonostante le frecce infilzate.

Ma il panorama non era ancora completo. Allo scontro si unirono oscure figure incappucciate e quasi invisibili nelle ombre; saltavano giù rapidamente dagli alberi alle spalle dei generali elfi, tagliavano le loro gole e sparivano nel nulla così come erano apparse.

Le truppe, lasciate allo sbando, non riuscivano più a coordinarsi ed organizzarsi ed erano facili prede per le numerose cariche della marea.

E Ziregor rise soddisfatto.

Gli elfi comunque erano tra i loro boschi, nelle terre che conoscevano palmo per palmo, e grazie a questo vantaggio tattico, sfruttando le peculiarità del terreno, si riorganizzarono e ricacciarono indietro l'orda. Non si persero mai d'animo, non cedettero neanche ai fratelli morti davanti ai loro occhi. Tra volontà e disperazione non abbassarono mai il capo e risposero colpo su colpo, ricacciando gli invasori.

Le perdite furono ingenti da entrambe le fazioni, ma l'organizzazione elfica stava avendo la meglio sulla massa scomposta. Gli elfi nonostante tutto riuscivano a tenere a bada i loro nemici.

C'era esaltazione tra le loro linee...fin quando da ovest, dall'Antico Regno Umano, risuonarono altri corni da battaglia e il terreno tremò.

Vecchi rancori riemersero...

E Adun rise soddisfatto.


Il tradimento[]

Una lunga chioma bianca gli scendeva sul volto…un volto scuro e nero come la notte più buia. I suoi occhi viola erano turbati e i suoi pensieri erano cupi. Dhall, Signore dei Drow, sedeva sul suo seggio ricavato e scolpito da un unico enorme blocco di ossidiana, situato nella sala principale della sua dimora a Darok. Un brivido gli percorse tutta la schiena. La stanza parve rinchiudersi in un vortice oscuro. Dhall si guardò attorno disorientato, improvvisamente la sua mano cominciò a tremare e per la prima volta nella sua vita ebbe paura. Una risata gelida echeggiò nella stanza, una risata malefica profonda quanto i cunicoli oscuri dei Darok. L’Arconte fissò dinnanzi a sé stupito; una drow dai corti capelli bianchi si era materializzata dal nulla. Lo guardava con due occhi verdi che parevano scrutarlo fin dentro l’anima. Aveva un lungo abito viola che toccava il terreno e in mano reggeva un lungo bastone nero.

“Io sono colei che porta il volere di Hiamar!” disse e la sua voce paralizzò il Signore dei Drow.

La drow svanì nello stesso identico modo con cui era apparsa. Era una messaggera di Hiamar che aveva consegnato a Dhall compiti importanti. I pensieri dell’Arconte rimasero cupi e turbati per molto tempo...

Poi si alzò di colpo, tese le mani in avanti e con il volto rigido chiamò un guardia.

“Il tempo della Guerra è giunto ed Hiamar ha parlato”.

La guardia drow lo guardò senza capire.

“Che i cinque Draconi siano condotti immediatamente da me”.

Così dicendo tornò a sedersi e con le punta delle dita cominciò a massaggiarsi le tempie.

La guardia annuì e lasciò la sala, premuroso di portare al termine quando gli era stato ordinato.

I Draconi entrarono nella sala qualche ora più tardi. Tra loro vi era anche Kell I'Len che non appena entrò capì che in Dhall vi era qualcosa di diverso. La voce dell’Arconte risuonò per tutta la sala: “Oggi è un giorno importante che verrà ricordato nella storia del popolo drow. Hiamar ha parlato e il suo volere non verrà rifiutato” alzò un dito indicando a ovest.

“Affronteremo gli eserciti di Adun che hanno invaso il regno di quegli inferiori e stupidi nani…” indicò verso l’alto “…e le terre dei nostri fin da sempre odiati Elfi”.

I Draconi si guardarono stupiti, l’unica a rimanere impassibile fu Kell I’Len che sapeva già tutto e Dhall lo capì. “Aiutare nani e elfi?” disse Galie’ll il più giovane dei cinque “Perché mai dovremo farlo?” Dhall si alzò dal suo seggio e urlò: “Perché questo è volere di Hiamar, fratello!”. Il silenzio scese per qualche istante nella sala, poi Kell parlò “I fratelli Drow marceranno in superficie, sfideranno l’esercito di Adun nella Via di Pietra, e innalzeranno il nome di Hiamar su tutta Ero. Mostreremo alle razze la potenza e la superiorità dei drow!!”

Si voltò e uscì dalla sala. Pochi minuti più tardi fecero lo stesso gli altri cinque Draconi, i quali in poco tempo avrebbero messo in piedi un micidiale esercito di drow.

Hiamar rise, compiaciuta dell’obbedienza e del valore dimostrato dai suoi protetti. Aveva dato inizio al suo tradimento nei confronti di Adun.


L'assedio di Anfar

Kalae grondava di sudore mentre attorno a lui era scoppiata una delle più feroci battaglie della sua vita… Era partito due settimane prima del padre con il suo esercito, piccolo ma ben addestrato, e aveva raggiunto i barbari del Sud ormai da tempo in quella terra Elfica a combattere senza mai una tregua. Si era stupito della loro potenza quanto dei loro modi grezzi. Si curavano poco degli aspetti prettamente tattici della guerra: costituivano una forza temibile, che se ben organizzata poteva rivelarsi un arma decisiva.

Klang era il nome del loro capo tribù. Un nome che incuteva paura, forza e determinazione. A malapena riuscirono a capirsi tuttavia le parole servivano a poco. Condividevano un obbiettivo ed entrambi ne erano coscienti. Una freccia passò a pochi millimetri dalla testa del Principe.

“Uccidiamo questi schifosi elfi!” gridò e per un attimo gli parve di essere uguale identico a suo padre. Ben presto gli elfi cominciarono a indietreggiare sotto l'ira dei barbari e l'abilità dell'esercito umano. Erano stati presi alla sprovvista e non potevano far più niente per quella loro terra.

I barbari ruggirono all’unisono il loro grido nell’aria: un fumo nero stava oscurando il cielo, Anfar era stata assediata.


Distruzione del Nord[]

La sacerdotessa Yuan-Ti dischiuse una mappa e puntò il dito su una zona segnata come montana e nevosa. Il generale delle armate di lucertole osservò il punto indicato, studiò la geografia che era rappresentata in quella zona, annuì e si voltò verso i comandanti delle varie armate di Yuan-Ti e Slaad. Dalla sua bocca uscirono dei versi scivolosi e incomprensibili, i comandanti annuirono e andarono a riferire gli ordini alle proprie armate.

La sacerdotessa prese l'amuleto di Ziregor che aveva al collo e, dopo aver fatto dei gesti che lo fecero risplendere per un attimo, lo mise al collo del suo generale; questi fece un leggero inchino e tornò al suo esercito. Nella grande caverna fu di nuovo tutto pronto, ma stavolta non per un arrivo ma per una partenza. Il rito fu di nuovo portato a termine e un portale di nuovo apparve al centro della caverna; l'intero esercito cominciò a rumoreggiare, fremente di cominciare il suo compito.

La sacerdotessa si fece da parte e con un cenno indicò il portale. Tutto era pronto. Il generale allora levò la sua spada ricurva in alto e gridò un unico, secco ordine; l'esercito intero si mosse, ordinato, in file da cinque, cantilenando un motivo di guerra in una lingua sconosciuta, e varcò il portale. Ziregor osservava e si compiaceva...

Rakin fu presa di sorpresa, durante la notte. Si aprì un varco luminoso in mezzo alla città, il quale vomitò fuori migliaia di esseri viscidi e coperti di squame. La maggior parte degli abitanti fu uccisa direttamente nel sonno, tutte le abitazioni furono messe a ferro e fuoco. Il contingente stanziato a difesa della città riuscì solo a far uscire dalla città dei messaggeri diretti a Vask e a Grande Inverno. Se non fossero riusciti a salvare la città, almeno le altre non sarebbero state prese di sorpresa. All'alba Rakin cadde.

La massa di lucertole, dopo essersi accertata che nessuno fosse sopravvissuto , riorganizzò i ranghi e marciò verso Vask. Nella caverna, la sacerdotessa osservava dentro una sfera trasparente e violacea, ghignando e si sfregandosi le mani.

Quando l'esercito giunse a Vask, le porte erano state già chiuse e rafforzate, gli arcieri piazzati sui merli e tutto il popolo era stato messo al sicuro all'interno delle mura. I messaggeri avevano fatto il loro dovere. La difesa fu strenua e le mura tenevano. Le lucertole cadevano sotto la pioggia di frecce delle truppe del Nord, le mura tenevano e le condizioni del terreno, scosceso e coperto di neve, non aiutavano gli assedianti nel loro lavoro. Il generale Yuan-Ti allora avanzò in mezzo alle truppe, attorniato dalla sua unità di guardie del corpo che lo difendevano con gli scudi dalle frecce che piovevano sopra di loro, e si piazzò davanti al portone sbarrato della città.

Levò al cielo l'amuleto che aveva al collo e lo puntò verso l'ingresso; dal rubino al centro dell'amuleto uscì un piccolo globo rosso che si infuocò in volo, si trasformò in una sfera infuocata grande come una testa di gigante, e si schiantò contro il legno del portone.

Il globo esplose e frantumò le due ante della porta in un mare di fiamme. L'esercito di Yuan-Ti e Slaad esultò con tutto il fiato che aveva in corpo e si riversò in carica dentro la città.

Il massacro fu inevitabile, sebbene non totale. Il generale delle città suonò il grosso corno che portava al collo e di conseguenza tutti i comandanti delle unità sopravvissute lo imitarono.

Fu ordinata la ritirata all'interno della fortezza che si trovava al centro della città; una fortezza costruita in pietra pesante e senza ampie finestre, ma solo feritoie per archi. Le porte erano state fabbricate in pesante ferro e rinforzate in treranio, dono dei nani di Nair per suggellare l'antica alleanza tra i due popoli. Quando erano chiuse, la fortezza era praticamente inespugnabile, ma anche una trappola senza uscita.

Prima del tramonto, Vask, lasciata a se stessa, fu messa interamente a fuoco. Solo la fortezza rimaneva, al centro dei resti della città in fiamme, attorniata da centinaia di lucertole che cercavano invano un modo per entrare.


Che la caccia abbia inizio[]

Anfar era sotto assedio, tutto stava andando secondo i piani.

Il principe umano era compiaciuto del potere del suo esercito, finalmente poteva annientare quei maledettissimi elfi, finalmente avrebbe avuto la testa di Lemuria.

All'idea gli si disegnò sul viso un sorriso divertito.

I suoi sogni vennero interrotti dal suo sottotenente che correva verso di lui chiamandolo a gran voce.

"Mio principe" riprese fiato "un manipolo di elfi è scappato per dirigersi verso il nord...forse chiederanno aiuto al Regno del Nord"

Il principe lo guardò interessato e non sembrava assai contento della notizia.

"Prendi un manipolo di uomini" intimò il principe "trovateli e massacrateli....voglio le loro teste entrò sta sera.

Festeggeremo la caduta di Anfar e giocheremo al lanciò delle teste elfiche" sorrise il principe.

"Non vorrai certamente deludere il tuo principe vero?"

Il tenente corse a raccattare degli uomini.

La caccia agli elfi era iniziata.


Distruzione di Jil'Rai[]

Ukae contemplava con piacere il panorama che aveva di fronte a se, Jill'Rai in fiamme. Tutti gli abitanti erano stati uccisi e i pochi sopravvissuti vennero impalati ancora vivi come nella tradizione di guerra.

La vittoria era stata al quanto facile e aveva apprezzato il modo in cui il suo esercito aveva debellato la misera resistenza elfica.

Nello stesso momento suo figlio Kalae cingeva d'assedio Anfar massacrando altri elfi e compiendo il suo volere. Tutto andava secondo i piani.

Aveva deciso di dividere l'esercito in due frange, una guidata da lui, diretta a Jil'Rai e l'altra guidata dal figlio Kalae, diretta ad Anfar, già sotto assedio dai barbari del sud, loro alleati nello sterminio della razza elfica.

In questo modo erano riusciti a coglierli di sorpresa, impreparati ad un'invasione di quella portata, e ad accerchiarli, prendendoli da più punti contemporaneamente.

"Adun poteva ritenersi soddisfatto..." Ukae pensava tra se e se, con gli occhi brillanti del fuoco che divampava nella foresta...


La Rinascita del Circolo Druidico[]

"La decisione è presa, non possiamo far altro"

"Ma…ma…abbandoniamo la foresta cosi?"

"...e cosa vorresti fare? Buttarti sulle lame di quel folle di Ukae?"

"Ma il dovere di noi druidi è quello di difendere la foresta, a costo della vita!!!"

"...questo vorrebbe dire MORIRE SICURAMENTE in questa guerra e lasciare questo mondo alla deriva!! Qui non possiamo fare più nulla...dobbiamo andare via, dobbiamo vivere, trovare un nuovo posto dove stabilirci e da quel posto far rinascere un nuovo mondo. Pianteremo i semi della pace e della speranza. Qui non c'e' più speranza".

Nessuno in quel circolo trovò parole per controbattere e la decisione fu presa.

Presero con loro tutti gli animali che riuscirono a trovare, misero da parte i semi di tutte le varietà di piante e fiori da loro conosciute e partirono. Ognuno di loro mise in un piccolo sacchetto una manciata della terra della Foresta d'Avorio e un fiore diverso; si legarono il sacchetto al collo e si misero in marcia.

Marciarono duramente per sfuggire alla distruzione di Jill'Rai, con la tristezza nel cuore; Madre Natura non avrebbe certo perdonato coloro che avevano provocato questo grande squilibrio.

Con i loro poteri di mutazione e occultamento riuscirono a non farsi notare da nessuno in quella caotica guerra, e si diressero verso sud, verso le Piane, dove il clima non era ne troppo freddo ne troppo caldo, ottimale per le loro intenzioni di ricrescita.

Viaggiarono a lungo, cercando un posto ottimale dove stabilirsi, ma c'era sempre qualcosa che non andava: insediamenti di barbari, tribù di goblin, terreno troppo arido o troppo coltivato, strane bestie e altro...

Il fatto più grave era che ovunque incontravano distruzione e corpi massacrati...l'Arcidruida, ogni volta, a quella vista, scuoteva la testa mestamente "Dove andremo a finire di questo passo...che la Madre Terra abbia pietà di noi".

Una mattina l'Arcidruida si svegliò prima, disturbata da un animale che le leccava una guancia; aprì gli occhi e si trovò sopra un daino completamente bianco, tranne che per una macchia sul muso, in mezzo agli occhi.

Un'animale del genere non era mai stato visto da nessuno, neppure dai druidi, cosa che meravigliò non poco la donna che lo stava osservando...poi notò un particolare che la fece restare senza fiato: la macchia sul muso aveva una forma ben precisa...era il simbolo della dea Lothires! La dea era tra loro, aveva vegliato su di loro...

Il daino si mosse in una direzione, nel bosco, e fece avanti e indietro in quella direzione finchè il gruppo non capì che voleva essere seguito. Lothires stessa si era mossa e li voleva guidare in quell'oceano di morte.

Camminarono seguendo il daino per l'intera giornata e, verso sera, il daino si fermò in una radura incantevole, con erba morbida a terra e alberi grandi sotto la cui ombra vivere al sicuro.

Non ci fu bisogno di controllare i dintorni, ne di organizzare turni di veglia...ogni druido in cuor suo sentiva, dal primo momento in cui aveva messo piede nella radura, che quel posto conteneva la pace assoluta, il rifugio sicuro per ogni creatura.

La somma druida annunciò con voce decisa "Qui è perfetto! In questo luogo nasce oggi il Nuovo Seggio dei Druidi. Qui dove non ci sono confini e dove non esiste distinzione di razza, in questo posto noi druidi ci daremo appuntamento costantemente per seguire l'andamento di questo pazzo mondo. Oggi nasce una nuova era e noi con essa rinasciamo".

Il posto era stato trovato, i preparativi per organizzare la loro nuova vita cominciarono febbrilmente.

Da lontano il daino osservò per tutta la notte quegli esseri, di tutte le razze, di ogni popolo, uniti dallo stesso credo e dallo stesso amore per la natura entrare nella loro personale nuova era...alle prime luci dell'alba sparì nel folto della foresta.

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